Diritti per tutti o, di nuovo, solo per qualcuno?

mons. Pierpaolo Felicolo
Direttore generale della Fondazione Migrantes

Da anni ormai, alle frontiere di molti Paesi europei avvengono respingimenti e maltrattamenti degradanti sui singoli migranti e richiedenti asilo. È possibile farsi un’idea di quanto e come vengano violati i diritti umani scorrendo uno dei molti report di recente pubblicazione: Pushed, Beaten, Left to Die. European pushback Report 2024 (febbraio 2025). È in atto un processo di preoccupante normalizzazione dei respingimenti e un conseguente arretramento degli impegni dell’Unione europea nei confronti dei diritti umani. Di contro, papa Francesco lo ha proclamato con forza: «Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti»[1] . Aggiungendo altresì nella medesima occasione che «questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave».

È anche per questo motivo che la Fondazione Migrantes ha, tra gli altri, l’obiettivo di offrire una corretta informazione rispetto alla mobilità nel mondo. Lo fa attraverso molteplici attività e pubblicazioni. Fra queste, tre Rapporti annuali: sull’immigrazione, sugli italiani nel mondo e sul diritto d’asilo. Si tratta di un lavoro che nasce dalla missione propria della Fondazione, quella di occuparsi delle persone che si spostano all’interno dell’Italia e fuori da essa, sia che siano emigranti sia che arrivino nel nostro Paese perché lo scelgono oppure perché sono spinte a farlo. In questo processo – non solo di studio, ma di vicinanza umana e spirituale – ci si misura con le difficoltà che le persone migranti incontrano sul loro cammino, sempre più spesso generate da impedimenti non solo fisici, ma da norme che provano a limitare la loro mobilità e i loro diritti. In questo senso, la Chiesa si è già da tempo pronunciata chiaramente: esiste un diritto a rimanere nel proprio Paese di origine, ma anche un diritto a partire e a ritornare. 

Tutto ciò offre alla Fondazione Migrantes un osservatorio privilegiato, che le permette di toccare con mano, come si è detto, il progressivo deterioramento dei diritti delle persone che si spostano non solo in Italia ma anche in tutta Europa, da almeno un decennio.

Eppure l’Europa è il continente che, dopo due guerre mondiali e l’immane carneficina e distruzione che hanno causato, ha trovato la forza di immaginare un modo per limitare la forza distruttrice che i conflitti, gli Stati nazionalistici e i totalitarismi di ogni colore ideologico possono generare. Una delle soluzioni messe in campo è stata l’elaborazione di convenzioni internazionali, cioè di forme di arbitrato superiori a quelle dei singoli Stati, con la conseguente possibile deriva del ricorso alla legge più forte, per avere uno stato di diritto che tuteli tutti i Paesi e non solo i più potenti sul piano bellico o economico, così come le minoranze e i singoli individui, che possano godere o meno di una cittadinanza.

Questa costruzione ci ha donato nel 1950 la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), di cui quest’anno celebriamo i 75 anni; nel 1951 la Convenzione di Ginevra, per la tutela delle persone non combattenti che fuggono dai conflitti, che sancisce con forza il diritto di non respingimento; infine, nel 1989, la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.

Le grandi sofferenze dei decenni passati dovrebbero averci insegnato che nelle guerre perdono tutti, e che i diritti sono per ogni singola persona, oppure si mettono a rischio quelli di tutti: come spiega la Dottrina sociale della Chiesa, ogni singola persona è, infatti, una creatura divina e ha una propria dignità irrinunciabile, dal concepimento alla morte, che deve essere tutelata. In caso contrario, nascono zone d’ombra e di discriminazione, dove l’ingiustizia può ricominciare a farsi avanti; e si riaffaccia la possibilità di uscire da uno stato di diritto più ampio di quello che può garantire un singolo Paese, legato quindi alla cittadinanza legale e non alla persona in quanto tale.

Certo, le convenzioni internazionali avrebbero potuto essere perfezionate ed estese, ma possiamo affermare che costituiscono il punto più alto perfettibile a cui l’Europa è giunta per creare uno spazio di democrazia fondato sul diritto. Chi le ha pensate non guardava a elezioni imminenti, ma alle prossime generazioni, cui voleva regalare l’architettura di un mondo in cui la pace avesse quante più possibilità di non essere una mera aspirazione, ma una concreta opportunità. Un obiettivo che possiamo dire raggiunto, se consideriamo che dal 1944 intere generazioni di europei sono cresciute in pace e molte persone hanno guardato con ammirazione a questo continente, tanto che hanno scelto di venirci a vivere o di chiedervi protezione d’asilo. Questo è stato possibile anche grazie a uno spazio di pace, libertà e democrazia che qualcuno ha saputo prima pensare e poi costruire e conservare.

Purtroppo, tra gli ideali e l’effettivo godimento di questi diritti e doveri ha cominciato a crearsi uno iato sempre più ampio. Come spesso accade, i “rilevatori” più sensibili sono le persone che stanno più ai margini: quando si comincia a limitare un diritto, infatti, non sono coinvolti per primi i cittadini che votano, bensì le minoranze, chi è appena arrivato o chi per qualche motivo è più fragile. Ecco, quindi, che i primi segnali sono arrivati dai poveri, dalle persone in fuga, dalle persone che perdono il lavoro e il permesso di soggiorno e si trovano in una situazione di vulnerabilità.

La fiducia e la speranza, pur essendo qualità impalpabili, sono state imprescindibili per creare questo spazio di diritto e legalità. Per metterlo in crisi, poco alla volta si è dovuto minarle entrambe, criminalizzando sempre di più i poveri, i migranti e le persone della società civile che continuano a provare a stare loro vicino e che in questo modo, fastidiosamente, ricordano che anche loro hanno dei diritti, se non in quanto cittadini, certamente in quanto esseri umani. 

Così, invece di rafforzare le istituzioni internazionali e trovare delle sedi dove risolvere i conflitti tra gli interessi dei singoli Stati, si sono indeboliti gli organismi preposti a questa funzione e, progressivamente, ha ricominciato a farsi avanti l’idea che gli Stati possano risolvere tra loro ogni problema: questo, inevitabilmente, conduce alla legge del più forte e al ritorno della – presunta – soluzione della guerra. Non è un caso che nel mondo ci siano sempre più conflitti – ormai circa 60 – e che sempre meno se ne risolvono. Di alcune guerre si parla di più, altre passano sotto silenzio, ma questo non cambia il fatto che «siamo nella terza guerra mondiale, ma “a pezzi”. […] Un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà», come indicato con lungimiranza e senza mezzi termini da papa Francesco fin dal 2014 [2] . Violenze, crimini, uccisioni di massa e distruzioni talmente diffuse e sistematiche in diverse aree del mondo e interconnesse fra loro, tali da configurare un autentico conflitto globale unitario nelle sue logiche distorte.

Allo stesso modo, i diritti delle persone legati alle Convenzioni internazionali, e non alla cittadinanza, sono diventati più fragili e meno esigibili. Le persone in fuga dalla guerra, ad esempio, hanno incontrato sempre più ostacoli, anche a causa di una normativa creata ad arte, prima per tenerli lontani dai confini europei e poi per limitarne i diritti anche all’interno dell’Europa. Processi di esternalizzazione delle frontiere, sulla base di accordi dell’Unione europea e dei singoli Paesi, per tenere le persone migranti fuori dal territorio hanno cominciato a moltiplicarsi dal 2015 (accordi con Turchia, Tunisia, Mali, Niger, Libia, ecc.). A questi si aggiungono, ad esempio, l’approvazione alla fine del 2024 del nuovo Patto su asilo e immigrazione, che prevede un uso molto ampio delle procedure di frontiera, e quindi della compressione dei diritti dei singoli richiedenti asilo e della loro possibilità a un ricorso effettivo; e, ancora, la presentazione nel 2025 della bozza di Regolamento sui rimpatri, dove tra le altre cose i fondi per le misure punitive e restrittive sono di molto superiori a quelli per garantire un rimpatrio volontario assistito.

In questo contesto, dobbiamo chiederci: i diritti sono per tutti o, di nuovo, solo per qualcuno? Potremmo forse avere la sensazione che la questione non ci riguardi. In realtà, se i diritti non sono più garantiti a tutti e tornano a essere un privilegio solo per alcuni, ciò ci pone nuovamente in uno scenario in cui guerre e caos possono diventare – anzi, tornare a essere come un tempo – prevalenti. Quasi senza rendercene conto, ci stiamo allontanando da quel sogno di Europa nato dopo gli orrori di due guerre mondiali. Lo stesso sogno espresso da papa Francesco nel 2023, in occasione della XXXVII Giornata mondiale della gioventù a Lisbona: «Io sogno un’Europa, cuore d’Occidente, che metta a frutto il suo ingegno per spegnere focolai di guerra e accendere luci di speranza; un’Europa che sappia ritrovare il suo animo giovane, sognando la grandezza dell’insieme e andando oltre i bisogni dell’immediato; un’Europa che includa popoli e persone con la loro propria cultura, senza rincorrere teorie e colonizzazioni ideologiche. E questo ci aiuterà a pensare ai sogni dei padri fondatori dell’Unione europea»[3]

Anche in seguito, e persino nelle settimane di ricovero in ospedale, il Santo Padre è tornato a denunciare, con coraggio e trasparenza, l’inutilità della guerra: «In questo momento di malattia […] la guerra appare ancora più assurda. La fragilità umana, infatti, ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità» [4]. Proviamo a scegliere, ora che siamo ancora in tempo, la via della pace e dei diritti per tutti. Proviamo a scegliere ciò che fa vivere, e non ciò che uccide brutalmente.
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  [1] FRANCESCO, Udienza generale, 28 agosto 2024.
  [2] Conferenza stampa del Santo Padre Francesco durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Corea, 18 agosto 2014.
  [3] FRANCESCO, Discorso all’incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico in occasione della XXXVII Giornata mondiale della gioventù, Lisbona, 2 agosto 2023.
  [4] FRANCESCO, Lettera a Luciano Fontana, direttore del «Corriere della Sera», 14 marzo 2025.