Considerazioni sull’assorbimento dei migranti dai Paesi ex Unione Sovietica in Israele

Remy Cohen
CEO Cohen&Co-Milano

Nel trattare il tema dello sviluppo economico sulle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo è interessante esaminare il tema dell’assorbimento dei migranti in Israele, nel periodo dopo la caduta del muro di Berlino.  

 Israele è nato a seguito dei movimenti migratori dai paesi del Centro-Est Europa (Russia, Polonia, Germania, Ucraina, Bielorussia, etc) fra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento ed alimentati dalle ideologie sioniste socialiste, che auspicavano la costituzione di una società egualitaria basata sullo sviluppo dell’agricoltura (creazione dei primi Kibbutz). Questi migranti, alimentati da successive piccole ondate migratorie durante il Protettorato britannico in Palestina, e fino alla costituzione dello Stato di Israele, avevano un livello di istruzione ed un bagaglio culturale ed ideologico, che ha contribuito a plasmare la struttura del futuro Stato. Si pensi ad esempio al valore dato all’istruzione: le due principali Università del paese il Technion e l’Università Ebraica di Gerusalemme iniziarono ad operare rispettivamente nel 1924 e nel 1925.

La politica di Israele verso i migranti è basata su una legge fondamentale dello Stato e cioè la Legge del Ritorno. In base a questa legge qualsiasi ebreo nel mondo, assieme ai coniugi, genitori e nonni ha diritto di chiedere la cittadinanza israeliana (Aliyà o salita verso Israele)c. Il termine, Aliyà si riferisce all’immigrazione, o flusso migratorio verso Israele

Si noti che mentre da una parte viene riconosciuta la cittadinanza, non sempre viene riconosciuta l’ebraicità dei migranti, in quanto soggetta all’ approvazione del Rabbinato Centrale di Israele, che si conforma alle regole ortodosse sul riconoscimento dell’ebraicità (madre ebrea oppure una conversione operata da rabbini riconosciuti).  

Dopo la Shoah e la nascita dello Stato di Israele, i flussi migratori sono cambiati rispetto al periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale: nel periodo 1948-1951 arrivano migranti per ragioni politiche dai paesi arabi (Iraq, Yemen, Marocco, Tunisia), dalla Polonia, Romania oltre ai sopravvissuti alla Shoah. Nel periodo 1956-1957, immigrano dall’Egitto ed altri paesi arabi a seguito della Guerra di Suez.

Con la guerra dei Sei Giorni (1967), la percezione di Israele cambia radicalmente. La sua potenza militare e tecnologica fa sì che movimenti migratori vengono considerati dagli ebrei non più alla ricerca di un porto sicuro, ma per iniziare un’avventura di speranza e crescita economica. I programmi di accoglienza di studenti ebrei presso le Università israeliane vengono rafforzati e si accresce la cooperazione tra atenei israeliani, americani ed europei. In particolare i campi della fisica, chimica, matematica, informatica e medicina attraggono parecchi studenti ed iniziano i primi investimenti esteri delle multinazionali americane attive in quei campi. Gli ebrei nei paesi dell’ex Unione Sovietica (Russia e Ucraina in particolare) non potevano lasciare il paese ed il solo chiedere permessi di uscita metteva in serio pericolo la loro incolumità fisica e sicurezza economica.

Con la caduta del muro di Berlino, è ricominciata l’immigrazione verso Israele dalla Russia e dalle altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica, quali l’Ucraina ed ha inizio la seconda grande Aliyà dalla costituzione dello Stato di Israele. 

L’ondata migratoria dei primi anni ’90 è stata senza precedenti. Nel periodo 1989-2009 è arrivato in Israele circa un milione di persone (996.000) con una particolare concentrazione negli anni 1990 e 1991 quando sono giunti 375.000 migranti.  Questa particolare Aliyà si distingue dalle altre in quanto non causata da persecuzioni, ma fondata da libere scelte di emigrazione, in particolare in direzione di paesi come Israele in cui l’immigrazione ebraica, grazie alla legge del Ritorno, era molto favorita.  Dopo la caduta del muro di Berlino e la costituzione delle repubbliche indipendenti dell’ex Unione Sovietica, si è assistito in genere ad una forte domanda di immigrazione verso Stati Uniti, Canada e Germania in particolare. Questi ultimi paesi, tuttavia, avevano limitato l’ingresso a migranti in possesso di particolari requisiti professionali, di istruzione o esperienze lavorativa. Israele rimaneva quindi l’approdo più interessante per gli immigranti ebrei (o comunque beneficiari della Legge del Ritorno), sia per iniziare una stabile attività ed inserimento nel paese che eventualmente per utilizzare la nuova cittadinanza per poi emigrare verso paesi per loro più interessanti, come Canada, Stati Uniti o Germania, in cui le restrizioni su immigrati israeliani non erano così limitanti. Inoltre Israele offriva un programma di accoglienza che comprendeva aiuti finanziari, assistenza sanitaria, iscrizioni a Università e scuole, agevolazioni sui mutui immobiliari, riconoscimento delle lauree, pensioni ed altro. Programma molto importante specie per i migranti in difficoltà economiche.

La grande Aliyà dai paesi dell’ex Unione Sovietica ha portato nell’arco di 10 anni a circa 1 milione di immigranti da quei paesi, circa il 20% della popolazione israeliana dell’epoca. Si stima oggi che almeno il 40% della popolazione sia di origine russa o di altri paesi dell’ex URSS: la lingua russa è diventata praticamente la terza lingua del paese dopo l’ebraico e l’arabo.

Se si analizza la tendenza migratoria dal 1948 al 2020, si nota che sono immigrati in Israele circa 3,3 milioni di persone ed il 44,3% di esse a partire dagli anni 1990, in corrispondenza dell’Aliyà russa del 1990 -1991; quest’ ultima è proseguita in maniera ridotta negli anni fino al 2009 e ripresa negli anni 2014-2021.

Dal 1990 al 2000 poco meno del 90% degli immigrati proveniva dalle nazioni dell’ex URSS, percentuale poi gradualmente discesa al di sotto del 50% nel periodo 2001-2008, anni in cui invece riprendeva la migrazione dai paesi OCSE, in particolare Stati Uniti e Francia. Nel periodo 1990-2009 si osserva anche l’aumento dei migranti ebrei dall’Etiopia, con punte del 10% degli immigrati nel 1991 e di quasi il 20% nel periodo 2002-2008.

Dal 2008 al 2014, l’immigrazione in Israele è sensibilmente diminuita con una media di circa 15,000 immigrati all’anno, mentre dal 2014 al 2019 è ripresa la crescita con una media annua di 26,500 migranti. Come negli anni precedenti, la maggioranza degli immigrati proveniva principalmente dalla Federazione Russa e dall’ Ucraina. Nel 2019 il 73,8 % dei migranti proveniva dai paesi dell’ex Unione Sovietica (principalmente Russia ed Ucraina), seguiti dagli Stati Uniti (7,6%) e dalla Francia (6,8%).

Ci si chiede se e come l’Aliyà russa del 1990-91 abbia contribuito alla crescita economica di Israele. L’immigrazione russa degli anni 1990 ha accresciuto in maniera significativa il capitale umano del paese. Nel periodo 1990-2009 la maggioranza degli immigrati dall’ex Unione Sovietica aveva completato 12 anni di istruzione ed uno su cinque aveva completato un ciclo di studi di 16 anni, quindi con diploma di educazione superiore o laurea primaria e secondaria.

Infatti, secondo il Central Bureau of Statistics (CBS) di Israele, circa il 70% degli immigrati russi (o ex sovietici), erano occupati nei paesi di origine. La proporzione degli occupati tra gli immigrati di origine russa è rimasta elevata a circa il 62% negli anni fino al 2009, una percentuale superiore al tasso di occupazione in relazione alla popolazione.

Secondo i dati del Ministero dell’Assorbimento il numero di ingegneri arrivati in Israele nel periodo 1989-2009 è stato di 110,000, ben tre volte superiore agli ingegneri locali. Inoltre, Israele ha accolto più di 80.000 tecnici: 35.000 insegnanti; circa 17.000 scienziati, 40.000 tra medici dentisti ed infermieri oltre a 60.000 lavoratori industriali qualificati. Ovviamente il paese non aveva potuto accogliere questi migranti assicurando loro un lavoro nel proprio campo né assicurando subito una parità salariale con i loro omologhi israeliani, differenza salariale che è stata gradualmente eliminata, nel corso degli anni successivi: tuttavia circa il 30% degli ingegneri (45% nel campo dell’ingegneria elettronica ed elettrica) era composto da immigranti, circa due o tre volte la percentuale dei nativi israeliani nelle stesse professioni. Pertanto, questi fenomeni tendono a confermare che la rapida crescita economica nel paese nel decennio post immigrazione russa possa essere attribuita al capitale umano che gli immigrati hanno apportato tramite il loro contributo alla forza lavoro del paese. La migrazione dall‘ex URSS, oltre ad aumentare la forza lavoro, ha contribuito ad accrescere i ranghi delle forze armate, molto spesso nei settori dell’intelligence e della tecnologia militare. È probabilmente il connubio tra immigrati dotati di particolari doti scientifiche ed il terreno fertile generato dalla costante attenzione ai temi della sicurezza militare che ha dato impulso allo straordinario fenomeno delle start-up in Israele. Ma la politica di assorbimento del Governo israeliano ha anche agito come catalizzatore per accelerare l’integrazione tra immigrazione, tecnologia militare e start-up.

La politica di assorbimento del governo ha contribuito all’integrazione dei migranti russi nei campi delle start up tecnologicamente innovative. Indubbiamente, l’alto grado di istruzione, particolarmente nel settore della matematica, fisica, chimica, ingegneria e medicina, ha contribuito ad accrescere il numero degli scienziati nel paese e gran parte di essi ha trovato lavoro nei centri di Ricerca e Sviluppo delle industrie della difesa, dell’aerospazio, delle grandi università (Technion, Hebrew University, Tel Aviv University e Ben Gurion University) e negli istituti universitari di primo livello, beneficiando di programmi specifici di aiuto e sostegno. Nel periodo 1989-2007 sono arrivati in Israele più di 16.000 scienziati: oltre il 90% di tali immigrati erano originari dalla Russia ed ex Unione Sovietica, 4% dagli Stati Uniti e Canada ed il 3,6% dal resto del mondo. I campi di ricerca erano per il 63% circa in scienze matematiche e campi tecnici, il 23% circa nel campo della medicina e delle Life Sciences

Il Governo per venire incontro e sfruttare le opportunità create dalle competenze tecniche dei nuovi immigrati ha lavorato innanzi tutto sul riconoscimento dei titoli di laurea e nell’ organizzare corsi di riqualificazione in conformità con le esigenze e gli standard del paese.

Il caso dei medici è particolarmente interessante in questo momento dovuto all’invecchiamento della popolazione medica arrivata negli anni 1990-91. Infatti, si pensi che il 10% dei medici israeliani ha un’età superiore a 75 anni, rispetto alla media OCSE del 1%! Questa situazione ha indotto le autorità israeliane ad intensificare a partire degli anni 2010 la politica di accoglienza dei medici provenienti principalmente dalla Russia e dall’Ucraina, attivando il programma di inserimento dell’Agenzia Ebraica denominato Masa, ulteriormente rafforzato a seguito dell’attuale la guerra in Ucraina. Il programma dura 18-24 mesi in cui i medici imparano l’ebraico e possono anche aderire ai corsi di specializzazione prescelti. Le autorità israeliane si aspettano che questo flusso di medici possa mitigare il problema della sostituzione dei medici anziani o in pensione. (Fonte: Jerusalem Report 13 giugno 2022)

Nell’ambito delle politiche di assorbimento e per cogliere ulteriormente l’opportunità derivante dagli immigrati con alta preparazione tecnica, lo Stato aveva ulteriormente rafforzato il ruolo dello Chief Scientist, figura chiave presso il Ministero dell’Innovazione e dello Sviluppo Tecnologico. L’ufficio dello Chief Scientist contribuiva a disegnare le linee guide prioritarie per lo sviluppo tecnologico del paese ed in questo contesto indicava i campi in cui era consigliato investire e sostenere la ricerca. Attraverso l’ufficio dello Chief Scientist, le aziende, le Università o i privati potevano presentare delle domande di finanziamento di progetti innovativi nel settore tecnologico indicato. Tutti gli aspiranti imprenditori erano invitati a presentare i loro progetti, i quali se venivano accettati beneficiavano di un contributo statale per l’innovazione.

La politica di inserimento degli scienziati nei settori della ricerca avanzata rientrava nella visione generale di creazione anche di una imprenditorialità privata, attraverso l’accesso e miglior utilizzo dei fondi pubblici. In questo modo il migrante veniva sostenuto dallo Stato a sviluppare le proprie idee imprenditoriali attraverso consulenza sui business plans, sulle politiche di marketing, concessioni di finanziamenti e quanto necessario per fare nascere un’impresa. Le imprese create hanno avuto molto successo, e i migranti russi si sono rivelati tra i più innovativi. Il volano creato dalla crescente imprenditoria privata dei migranti ha anche contribuito a migliorare il tasso di occupazione, poiché queste nuove aziende necessitavano di forza lavoro per espandersi e crescere.

In termini di analisi costi-benefici, l’interrogativo interessante concerne il contributo della migrazione dai paesi dell’ex URSS all’economia israeliana. Secondo le stime correnti (Khanin Vladimir (2010), Aliyah from the Former Soviet Union: Contribution to the National Security Balance, Jerusalem February 2010) nei 20 anni dal 1989 al 2009, il contributo dei migranti è stato di NIS 106 miliardi (circa 35 miliardi di dollari). A questo si aggiunge una stima di circa NIS 120 miliardi (40 miliardi di dollari) come gettito IVA. Considerando che il costo per lo Stato del sostegno ai migranti dall’ex Unione Sovietica è stato stimato in circa NIS 45 miliardi (15 miliardi di dollari), il contributo totale dei migranti dall’ex Unione Sovietica, nell’arco del ventennio 1989-2009, si stima in circa NIS 182 miliardi (NIS 226 miliardi-NIS 45 miliardi), pari a circa 60 miliardi di dollari. Questo risultato economico è indubbiamente legato alla qualità del migrante russo o dall’ex Unione Sovietica, ma anche alla capacità dello stato di Israele di intraprendere le politiche sociali, economiche che valorizzassero le competenze tecniche dei migranti ed incoraggiando lo sviluppo delle loro idee imprenditoriali.

Il risultato complessivo si può considerare positivo considerando che la maggior parte dei migranti è rimasta in Israele e solo una minima parte è emigrata verso altri stati, come gli Stati Uniti o il Canada. Il problema della difficoltà linguistica, ostacolo iniziale non banale per qualsiasi immigrante è stato superato e le nuove generazioni, parlano sia russo che ebraico e contribuiscono alle Forze Armate del paese come tutti gli israeliani della loro età. La lingua russa è praticamente la terza lingua del paese e sono presenti giornali e canali televisivi in lingua russa. La preparazione scolastica dei nati da genitori russi è spesso superiore a quella dei loro coetanei israeliani. Dopo un periodo di adattamento, i migranti russi hanno trovato occupazione nei settori a loro più affini ai loro curriculum di studi o alle loro professioni. Il loro standard di vita è ormai simile a quello dei nati in Israele, ed è migliorato con la durata della permanenza nel paese. Tuttavia, rimangono dei problemi, come la poca conoscenza dell’ebraico e dell’inglese nella popolazione di immigrati dall’ex Unione Sovietica nelle fasce di età più anziane, che mostrano anche spesso problemi di salute. Rimangono ancora delle fasce di immigranti che non riescono ancora a trovare occupazioni nelle loro sfere di competenze ed accettano quindi salari inferiori alle loro controparti israeliani. In sostanza, la risposta del governo israeliano all’immigrazione dall’ex URSS è stata lungimirante e flessibile, ed ha cercato di adattare alcuni settori di sviluppo dello stato al bagaglio tecnico-scientifico portato dai nuovi migranti.