La dimensione mondiale dell’Europa

Fernando Iglesias
Presidente del World Federalist Movement, direttore della Cattedra Spinelli BA, parlamentare argentino e presidente del Gruppo di Amicizia con l'Italia della Camera.

Ho letto con grande attenzione l'importante intervento di Marco Piantini sul futuro dell’Unione Europea e le diverse opinioni che giustamente ha suscitato. Personalmente, non avrei niente da aggiungere su questo argomento che non sia in linea con i principi del federalismo europeo, e non c'è ne proprio bisogno, visto che ce ne sono tanti di federalisti europei che seguono il dibattito europeo con più attenzione e capacità che quella che possa avere io. Ma in un altro senso, magari posso dire qualcosa dalla prospettiva di un cittadino europeo che è nato fuori Europa, di un convinto spinelliano che ha vissuto in Europa soltanto dieci anni della sua vita, e di un federalista mondiale che proprio per questi motivi potrebbe avere una visone alternativa a quelle espresse.

La prima cosa che mi viene da dire è che gli europei non hanno una giusta dimensione dello straordinario successo che è stata l’Unione Europea e dell’importanza del modello politico europeo a scala globale. Basta guardare il secolo XX e dividerlo in due metà a partire dell’anno della creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio per capire come sono andate le cose. In poche parole, l’Europa in mano ai nazionalismi ha dato al mondo i cinquanta anni peggiori della storia dell’umanità: piene di guerre, genocidi, fame, povertà e dittature totalitarie. Invece, l’Europa unita a partire dalla CECA, poi la CEE, poi l’Unione Europea (e magari poi, una vera repubblica federale) ha offerto all’umanità il progresso più profondo della sua storia. Ancora oggi, malgrado la crisi, quattro paesi che fanno parte dell’Unione Europea sono fra i dieci con le migliori condizioni di sviluppo umano al mondo secondo il programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), e altri due sono pure europei.

Ma meglio che celebrare i successi ottenuti dalla UE é pensare a come sostenerli oggi, e a rinvigorirli in futuro. L’approfondimento del progetto federalista e la creazione di una vera repubblica democratica europea è oggi sul tavolo, certamente, come dimostrato dal dibattito sull’argomento che ha disegnato già un percorso su queste stesse pagine. Ma vorrei aggiungere a questo aspetto seppur centrale la prospettiva mondiale: il progetto dell’Europa unita è nato, come noto, da un'innovazione relativa alla dialettica storica fra nazione e regione di cui il Manifesto di Ventotene è stato l’espressione originale e, forse, anche la più chiara.

Se prima si concepiva l’Europa come la somma di quello che succedeva a livello delle sue nazioni, il manifesto di Spinelli ha operato una rivoluzione copernicana su questo concetto; una rivoluzione che ha portato, andando avanti nel futuro, a capire i successi europei nello scenario piú vasto della globalizzazione dei processi sociali. Intendo dire che Spinelli ha capito che non c’era possibilità di avere nessun paese europeo democratico e progressista -un'Italia democratica e progressista, se volete- in un’Europa dominata dai nazionalismi, i totalitarismi, e la guerra. E se quello succedeva era perchè non erano più le nazioni, come ha capito Altiero, a determinare quello che succedeva in Europa, ma il contrario: era la situazione complessiva dell’Europa a determinare quello che succedeva dentro le nazioni europee. In un’Europa dominata dai nazionalismi, dalle guerre commerciali e armate, e dai genocidi, non c'era alcuna possibilità per nessun Paese europeo di sovrastare l’entropia generale.

Ebbene, oggi questa affermazione spinelliana della supremazia del tutto sulle parti si è fatta valida, finalmente, a livello mondiale. La rivoluzione copernicana che comporta la globalizzazione fa sì che non ci sia oggi speranza di avere una Europa democratica e civile se il mondo continua ad andare verso le guerre commerciali, i nazionalismi e le guerre. In poche parole, il mondo si affaccia in questo secolo XXI appena nato sullo stesso abisso -e sulle stesse sfide- che l’Europa ha dovuto fronteggiare all'inizio del secolo XX. O si va verso uno scenario mondiale più pacifico, democratico e civile attraverso le linee fissate dall'idea federalista, oppure si va verso il contrario, e in questo caso l’Europa non avrà scampo.

Fu lo stesso Spinelli a sostenere che l’unità europea era solo il primo passo verso una federazione mondiale; e in questo senso l'Europa ha fallito perché non ha dato il contributo che da essa si poteva e si doveva aspettare. In questa prospettiva, l’UE va ripensata come un grande successo “interno” ma una grande sconfitta “esterna”. È vero, non tutto è dipeso ne dipende dall'Europa, ma è anche vero che i contributi che l'Unione Europea ha dato per approfondire una global governance più forte e democratica sono stati scarsi e fallimentari. Come risultato paradossale ma inevitabile, non esiste oggi uno solo fra i problemi cosiddetti “europei” che non sia in realtà un problema globale. Anzi, si potrebbe oggi dire che l’Unione Europea non ha quasi nessun problema, perché nessuno dei problemi che affronta oggi l’Unione Europea è strettamente europeo. I nodi “europei” di oggi, le crisi “europee” in atto, sono semplici riflessi regionali di grandi crisi globali che commuovono il mondo, e che derivano dalle incapacità del sistema politico nazionale-internazionale di agire globalmente attraverso un approccio federale e democratico. Le migrazioni, l’instabilità finanziaria con le sue conseguenze di povertà e disuguaglianza crescenti, il terrorismo fondamentalista, il cambio climatico, ecc... nessuno di questi problemi è un problema europeo: sono tutti quanti il sintomo a livello europeo di enormi problemi globali che non trovano una risposta razionale da parte del sistema politico; un sistema politico globale per le sue dimensioni ma ancora nazionale-internazionale dal punto di vista della sua organizzazione.

Ebbene, è questa proprio la contraddizione copernicana che la CECA, la CEE e l’Unione Europea sono riuscite ad affrontare a livello europeo attraverso le premesse fissate da Monnet e Schuman da una parte, e dalla lotta politica di federalisti come Spinelli, dall’altra. La necessità di un sistema politico regionale integrato, federale, democratico e capace di lasciare in mano alle nazioni i problemi nazionali, ma al tempo stesso di farsi carico a livello regionale dei problemi regionali. Come mai questo principio che abbiamo accettato come valido per la dialettica nazioni europee-Ue non vale invece per la dialettica Ue-mondo?

Oggi i problemi globali che colpiscono l'Europa non hanno altri attori capaci di decidere e intervenire su un sistema nazionale internazionale scarsamente democratico e senza una vera capacità di enforcement. Certamente, il G20, il G7, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, e via dicendo, sono tutte degli embrioni di una possibile global governance ma dispongono ancora di poteri ridotti, sono soggetti al principio di unanimità e non hanno nessun viso di democrazia al loro interno. E su questa architettura politica le cui insufficienze si riversano sul continente europeo, l'Europa ha fatto veramente poco.

Per risolvere le sue crisi, il mondo del secolo XXI che affronta oggi gli stessi problemi che nella seconda metà del secolo XX ha risolto l'unità europea ha bisogno di usufruire dell’esperienza sviluppata in quel laboratorio della democrazia supranazionale che è l’Unione Europea. Abbiamo bisogno di approfondire i poteri dell’ONU e delle agenzie internazionali, di fargli fare il decisivo passo in avanti dal confederalismo al federalismo e di democratizzarle. Sono i principi e le idee per le quali l'Europa è oggi riconosciuta mondialmente: lo stato di diritto, la democrazia, il rispetto dei diritti umani e lo stato di benessere.

Ora bene, che cosa non ha fatto e può fare l'Europa in questo senso? In primo luogo, l’Unione Europea è mancata di una vera politica di supporto all’integrazione regionale delle altre regioni. Come cittadino argentino e del Mercosur sono stato testimone di come, dopo gli sforzi iniziali e di fronte ai primi inevitabili insuccessi, l'Unione Europea si sia ritirata. Infatti, non esiste oggi alcuna politica Ue nei confronti del Mercosur, né su altre iniziative regionali, portata avanti dall’Europa con un criterio politico, e non economico. Per fare un esempio: in Latinoamerica, l'Unione Europea ha generosi programmi di sostegno di iniziative legate ai diritti umani, ai diritti delle donne e i bambini, allo sviluppo sostenibile, e via dicendo, ma nessune programma indirizzato a sostenere iniziative concrete a favore dell’unità regionale.

Qualcosa di simile vale per gli accordi commerciali tra il Mercosur e l'Europa, che una volta stabiliti creerebbero lo spazio commerciale più grande al mondo. Questi accordi, un tempo bloccati dall'Argentina dei Kirchner, trovano oggi solo ostacoli da parte di paesi europei e funzionari europei che guardano soltanto agli interessi di una piccola parte dell'economia europea, quella agroalimentare (e in particolare: agroalimentare francese), invece di vederli in una più lungimirante prospettiva politica. Infatti, in questo mondo percorso da guerra commerciali, non dovrebbe sfuggire ai funzionari europei l’importanza di creare un accordo commerciale che metta insieme due continenti che condividono i principi politici che fanno parte della storia europea, come la democrazia, i diritti umani, la Repubblica, il liberalismo e il rispetto dei diritti individuali.

Cosa aspetti l'Unione Europea a lasciare fuori piccoli interessi di bottega e buttarsi dentro a un accordo commerciale che aiuti il Mercosur a organizzare se stesso? Mi pare una domanda da farsi e che non trova oggi una risposta all’altezza nelle strutture dell’Unione.

L'Unione Europea ha anche fallito nel promuovere una qualsiasi riforma democratica e federale delle Nazioni Unite. In particolare, del Consiglio di Sicurezza, su cui continua a proporre misure nazionaliste anziché una ristrutturazione federale del Consiglio che segua la logica regionale e preveda: 1) l’eliminazione del veto quando siano in gioco circostanze che comportano gravi violazioni ai diritti umani, e 2) la regionalizzazione del Consiglio, adattandolo ai tempi che corrono e impegnando tutti i paesi membri a sviluppare accordi regionali e forme, anche se embrionali, di unità politica regionale.

Infine, si è fatto poco nel sostenere iniziative valide  e lungimiranti come la proposta -portata avanti da un gruppo importante di organizzazioni non governative- di creare un'assemblea parlamentare delle Nazioni Unite. Potrà parere oggi che la creazione di un embrione di parlamento mondiale attraverso la creazione di una agenzia consultiva dell'Assemblea Generale della ONU sia utopica, ma era anche utopica l’Unione Europea ai tempi del Manifesto di Ventotene, e lo era ancora di più alla fine di trenta anni di guerra, quando la Francia e la Germania che si erano dissanguate nei conflitti nazionalisti si sono messe d'accordo per creare la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.

Utopia? Ebbene, se non è l'Europa a proporre l’applicazione del federalismo e la democrazia a livello globale, chi lo farà? Se non sono l'Europa e il successo europeo a dare la spinta alla proposta di un'assemblea parlamentare dell’ONU che sia simile all’Assemblea Parlamentare del Consiglio di Europa e all'Assemblea Parlamentare che poi ha dato origine al Parlamento Europeo, chi lo farà? È ora di porsi queste domande. È ora di guardare al futuro del mondo con la stessa lungimiranza che Spinelli e i padri fondatori dell'Europa unita seppero sviluppare in tempi ben più difficili. La sorte della stessa Unione Europea è in gioco. Se non si va verso il federalismo e la democrazia sulla decisiva scala globale il mondo non ha speranza di evitare una tragedia simile -e forse maggiore- di quella che ha sofferto l’Europa all'inizio del secolo XX. Se i leader europei non hanno questa capacità di guardare al mondo e di guardare al futuro, saranno ciechi ai bisogni della storia, come sono stati ciechi quelli che erano contro ogni tipo di unità democratica del continente europeo perché pensavano che prima fosse necessario procedere a democratizzare le nazioni europee, un progetto impossibile.

Se l'Europa non va avanti in questo senso, nessun altro lo farà, e se nessuno lo fa saremo sempre più in mano ai populismi nazionalisti o, per dirla meglio, ai nazionalismi populisti, che vanno avanti compattamente in tutto il mondo, dagli Stati Uniti d’America, a Brexit, ai diversi populismi nazionalisti che si preparano ad entrare al Parlamento Europeo per distruggere il progetto europeo da dentro. Fermarli fa parte di una battaglia decisiva non solo per l’Europa, ma per il mondo, perché la caduta del processo di integrazione europeo significherebbe una svolta verso il nazionalismo, la xenofobia, e il conflitto, di scala globale. Ma proprio per questo bisogna anche guardare il mondo, e non solo l’Europa, e capire che oggi l'Europa è l'unica forza politica di impatto globale che ha l'opportunità di proporsi come un modello di democrazia e federalismo da guardare.

Quelli che credono che sia necessario prima sistemare l’Unione Europea per poi pensare alla situazione globale, invece, commettono oggi lo stesso errore di quelli che credevano che bisognasse prima avere dei paesi europei democratici e civili e poi pensare all'unione regionale. Non sono federalisti, ma piuttosto dei nazionalisti europei. Per fortuna per l'Europa e per il mondo non è stata questa l'opinione predominante alla fine della guerra, ma quella di Schuman e Monnet, rinvigorite a approfondite poi dall’apporto dei federalisti e di Spinelli.

In loro nome, e seguendo la loro visione, bisogna trovare oggi i mezzi e le vie per portare a livello globale, di maniera progressiva ma convinta, i due principi che accettiamo a livello nazionale ed europeo, cioè il federalismo e la democrazia. Se non ora, quando la stessa Unione è in balia ai processi globali, quando? Se non l’Europa, chi? L’Unione Europea non può rinunziare a fare questa battaglia perché così facendo perderebbe se stessa, come ben si capisce vedendo le conseguenze di averlo fatto negli anni precedenti.