Africa, Mediterraneo, Europa: un futuro comune

di 
Piero Fassino

Il CeSPI ha aperto su questo sito un Forum di riflessione e di dibattito intitolato “Africa: la sfida del XXI secolo”.

Non sembri un’espressione enfatica; il destino del mondo, infatti, sarà determinato da ciò che nei prossimi decenni accadrà nel continente africano.

Sono intanto le dinamiche demografiche a dircelo. Da oggi alla fine del secolo la popolazione africana passerà da 1 miliardo 200 milioni di oggi a 4 miliardi su una popolazione mondiale di 11 miliardi (il 40% del mondo!)

La Nigeria a fine secolo sarà il terzo paese del pianeta per dimensioni demografiche dopo India e Cina. In questo stesso secolo il continente europeo - Russia compresa - passerà dagli attuali 730 milioni di abitanti a 670!

Nel 2000 solo 3 città africane superavano il milione di abitanti; nel 2015 erano già 55; saranno più di 100 nel 2050. Un africano su due ha oggi meno di 18 anni. La dimensione media delle famiglie africane è di 4/5 componenti nelle città e 6/7 nelle aree rurali. In molti Paesi la crescita demografica annua supera significativamente la crescita del Pil. Il volume “Dall’Africa all’Europa” - pubblicato recentemente dal CeSPI per i titoli della casa editrice Donzelli - offre una vasta e documentata analisi delle dinamiche demografiche, economiche e sociali che ridisegnano il profilo del continente africano.

Ognuno comprende che il destino di quella immensa moltitudine di persone non può essere affidato solo ai flussi migratori.

Peraltro il continente è percorso da dinamiche, anche di segno opposto, che ci parlano di una realtà complessa. Da un lato, un nucleo di Paesi - si pensi all’Angola - che, grazie a risorse naturali ingenti (a partire dagli enormi giacimenti di carbone, gas e petrolio) conosce tassi di sviluppo significativi. Contemporaneamente una vasta parte del continente - si pensi al Sahel e alla regione subsahariana - continua a essere strutturalmente afflitta da fame, malattie endemiche, sottosviluppo, desertificazione e degrado ambientale.

La stessa ambivalenza la si riscontra sul piano politico. Per un verso si va gradualmente affermando nelle classi dirigenti più giovani la consapevolezza di costruire leadership stabili e affidabili e della necessità di superare la sola dimensione nazionale per far crescere politiche di integrazione continentale e subcontinentale.

Per altro verso in molti paesi detengono il comando classi dirigenti autocratiche, corrotte, spesso fondate su conflitti tribali e etnici. Troppo spesso i passaggi elettorali sono caratterizzati da regole elettorali incerte e ad personam, scontri sanguinosi di piazza tra opposte fazioni, contestazione dei risultati. Talora perfino di golpe per rovesciare esiti elettorali non desiderati. Così come non può essere ignorata la crescita del numero di “stati falliti”.

Uno scenario reso ancor più complesso negli ultimi anni dalla penetrazione dell’integralismo religioso e dal diffondersi dell’azione militare jihadista che - dalla Siria alla Libia, dallo Yemen al Mali, dal Corno d’Africa al Niger -  ha fomentato crisi e conflitti. E anche grandi Paesi - come Egitto o Algeria - sono esposti a rischi di instabilità.

Una realtà complessa, percorsa da molte criticità da cui sarebbe illusorio pensare di “stare lontani” perché in ogni caso ci coinvolgono e sollecitano la nostra responsabilità.

Che in Africa si giochi il futuro del mondo è peraltro reso evidente dall’attenzione che sempre di più grandi player mondiali rivolgono al continente. È ben noto quanto l’Africa sia uno degli assi strategici della politica estera della Cina. Coltivano crescenti relazioni il Brasile (anche in ragione della comune lusofonia con le antiche colonie portoghesi) e l’India, dirimpettaio della costa orientale del continente africano. Strategica ovviamente è l’Africa per Francia e Gran Bretagna, in virtù di solidi legami ereditati da una lunga fase coloniale. Sempre più presente è l’Arabia Saudita promotrice di una penetrazione dell’islamismo wahabita. E anche importanti paesi del continente - ad esempio Egitto e Marocco - perseguono una “strategia africana”.

L’Europa - per contiguità territoriale, legami storici e intensità di relazioni - più di ogni altro è direttamente interessato al futuro dell’Africa, anche perché tutto ciò che vi accade investe immediatamente il continente europeo come i flussi migratori dimostrano.

L’Unione Europea è dunque chiamata a compiere delle scelte. Non si parte da zero. Da più di quindici anni si svolgono i vertici annuali Unione Europea-Unione Africana, varati sotto la Presidenza Prodi. Negli ultimi anni poi, sotto l’incalzare di flussi migratori ingenti, l’Europa si è convinta della necessità di una strategia finalizzata allo sviluppo del continente. L’Africa Plan e il programma di finanziamenti a suo sostegno varati dall’Ue ne sono la conferma. Peraltro l’Europa può offrire all’Africa assai di più di quello che oggi da la Cina. Pechino ai paesi africani offre un grande investimento nello sviluppo infrastrutturale (autostrade, porti, ferrovie, impianti energetici, edilizia civile). Ma l’Africa ha bisogno anche di strutture educative, di servizi sanitari e sociali, in primo luogo per infanzia e donne. Così come l’enorme popolazione giovane richiede un grande piano straordinario di formazione. E ancora: in un continente segnato da regimi politici instabili, da autocrazie spesso corrotte, da negazione di diritti civili essenziali è altrettanto importante sostenere l’implementazione di sistemi democratici stabili e di apparati pubblici affidabili, nonché il riconoscimento di diritti civili e umani oggi spesso negati o oppressi. E last but non least, un Migration Compact Euro-Africano costituirebbe uno strumento prezioso per una gestione condivisa dei flussi migratori. Tutti terreni su cui l’Europa può essere per l’Africa un partner essenziale. Così come l’Unione Europea può svolgere un ruolo prezioso nell’accompagnare le nazioni africane e l’Unione Africana a realizzare politiche di integrazione continentale e subcontinentale.

Insomma: l’Europa è chiamata a darsi una strategia all’altezza della sfida. E qui serve una mobilitazione straordinaria di risorse, ma anche un approccio culturale e politico nuovo.

Storicamente l’Europa si è rapportata al continente africano con due distinte strategie: una strategia per il nord africa la cui prossimità mediterranea sollecita l’Europa a stabilire relazioni intense con i paesi dell’altra sponda del mare nostrum. E una strategia diversa e distinta per l’Africa subsahariana, essenzialmente affidata alle politiche di cooperazione allo sviluppo. Insomma il Sahara veniva assunto come una cesura invalicabile. Quell’approccio non ha più ragione di essere. Sono a dircelo i barconi che sbarcano sulle coste europee migranti che transitano dalla Tunisia o dal Marocco, ma provenendo da Niger, Camerun, Chad, Costa d’Avorio, Benin, Repubblica Centrafricana.

Occorre essere coscienti che Europa, Mediterraneo e Africa sono sempre più legati da problemi comuni e da interessi comuni che richiedono soluzioni comuni. Di qui deve discendere un salto culturale: considerare Africa, Mediterraneo e Europa un unico grande “macrocontinente verticale” che deve costruire il suo futuro con una strategia unitaria. Un salto culturale non scontato che richiede a ciascuno di lasciarsi alle spalle stereotipi, pregiudizi e diffidenze. Agli europei la responsabilità di liberarsi da ogni forma di paternalismo, non guardando all’Africa solo come ad un continente “da aiutare”. Agli africani - del nordafrica come del subsahara- di non guardare all’Europa con la recriminazione della dominazione coloniale. La storia non si riscrive due volte e soprattutto non con lo sguardo rivolto al passato. Il presente è così carico di incognite che non ci consente ripiegamenti o nostalgie. La sfida è costruire un futuro di sviluppo, diritti e benessere per ogni donna e ogni uomo. Una sfida così alta si può vincere solo se Africa, Mediterraneo, Europa saranno capaci di unire intelligenze, energie, risorse.