La sfida europea per il prossimo decennio

Alfredo De Feo
Professore al Collegio Europeo di Parma, Fellow presso l’Istituto Universitario Europeo, di Firenze, già Direttore presso il Parlamento Europeo suggerisce alcuni temi di riflessione sollevati nel dibattito sul futuro dell'Ue.

Ringrazio Marco Piantini per aver lanciato questa riflessione sul futuro dell’Europa, aggiungo il mio contributo, che vuole essere provocatorio, augurandomi che, insieme alle altre riflessioni contribuiscano ad ispirare i Leaders nazionali ed europei, presenti ma soprattutto futuri.

La crisi dell’Europa è profonda, a differenza dalle molte crisi precedenti, non è confinata tra le diplomazie e le elites ma ha anche investito in pieno l’opinione pubblica europea, in modo orizzontale. L’Europa, per un numero crescente di cittadini, è percepita più come il problema che la soluzione.

Non mi dilungo sui vari fattori di crisi, dai problemi monetari a quelli legati ai flussi migratori, dai problemi commerciali a quelli energetici, senza contare i contraccolpi dell’uscita definitiva del Regno Unito. Ma la crisi più grave, che mina il principio stesso dell’Unione Europea è la (totale?) mancanza di fiducia e la crescente diffidenza tra i vari Leaders europei. Il progetto europeo è nato intorno alla comunione di intenti, ma anche nell’amicizia e nel rispetto reciproco dei Padri Fondatori, questa dimensione sembra persa ed allo stato attuale difficile da recuperare.

La modifica degli equilibri geopolitici è un altro fattore di instabilità, ma anche di stimolo. Gli Stati Uniti hanno rinunciato alla leadership del mondo occidentale concentrandosi sulla difesa dei loro interessi commerciali, riducendo anche il loro impegno militare a difesa dei Paesi europei; la Russia, dopo il crollo del comunismo, sta ritrovando un ruolo egemonico nel mondo; la Cina sta espandendo la propria influenza in Africa, Asia ed anche in Europa, consolidando la propria egemonia economica e commerciale. Il tutto mentre si affacciano, da tempo, sullo scenario mondiale altre potenze emergenti, India, Brasile, Sud Africa che pure hanno legittime aspettative di espansione. In questo contesto, Stati Uniti e Russia hanno il chiaro interesse di evitare di confrontarsi con un blocco di Stati, come l’Unione Europea, ma piuttosto con Stati nazionali. Mentre la geopolitica mondiale consiglierebbe di rafforzare i collanti dell’europeismo alcune forze nazionali sembrano spingere verso la disintegrazione dell’Europa.

Alcune posizioni assunte dal nuovo governo italiano costituiscono un ulteriore elemento di instabilità, ma che potrebbero anche trasformarsi in stimolo per una riforma.

D’altra parte, se si osservano le difficoltà che stanno incontrando i negoziatori dell’uscita del Regno Unito si ha una chiara percezione della difficoltà a vivere isolati. Se il negoziato Brexit è sostanzialmente ignorato dai cittadini dei 27 paesi, l’opinione pubblica britannica è sempre più coinvolta e preoccupata di quello che una Brexit con o senza accordo con l’Ue possa riservare.

Questa vicenda dimostra che cercare soluzioni semplici di fronte a problematiche complesse, attraverso referendum senza passare dalla mediazione politica, provoca situazioni irrimediabili da cui poi è difficile uscire.

In questa situazione di crisi, il business as usual, non può più essere la risposta alle difficoltà attuali. Il compromesso al ribasso che ha caratterizzato la chiusura delle principali crisi precedenti può garantire, al massimo, la sopravvivenza ma riducendo l’Europa alla irrilevanza politica oppure favorirne la disintegrazione.

La mia analisi, per mantenere un barlume di speranza per il futuro si articola su tre assi: l’Urgenza, le Riforme ed il Momentum.

L’Urgenza della situazione è sotto gli occhi di tutti, i partiti euroscettici avanzano nella maggior parte delle elezioni nazionali, ed in alcuni casi sono al governo o comunque ne influenzano l’azione. L’assenza di reazione da parte dei partiti che hanno difeso una Unione più coesa, condannerà l’Europa alla paralisi.  

L’urgenza della situazione obbliga ad una prima considerazione: una riforma dei trattati non è immaginabile, per due motivi: il primo è che i negoziati per arrivare ad un testo condiviso da tutti i governi e le successive ratifiche nazionali, rendono questa strada impraticabile. Il secondo motivo, più pragmatico, è che una riforma dei trattati non è necessaria ed un buon numero di riforme possono essere introdotte all’interno del quadro giuridico esistente.

Solo Riforme coraggiose e radicali possono portare ad una evoluzione dell’Europa. Per fare riforme ci vuole visione e Leadership. Senza dilungarmi in proposte dettagliate indico in modo sommario dieci temi, anche controversi, che potrebbero contribuire a modificare la percezione dell’Europa a quella parte di opinione pubblica europeista, ma oggigiorno disincantata e che ha perso fiducia nel progetto europeo.

  1. Un’ Europa democratica non solo nella forma ma anche nella sostanza. Questo processo può partire da un serio impegno di tutti i partiti a centrare la campagna sulle elezioni europee solo ed esclusivamente sul progetto europeo, presentando proposte e visione a medio termine. Fino ad oggi solo i partiti sovranisti, populisti ed anti europei hanno condotto una campagna “europea”, anche se in senso negativo.
  2. Una migliore strutturazione della procedure di selezione dei “candidati leader” (Spitzenkanditaten) ma soprattutto un maggior legame con i capilista dei partiti nazionali che lo sostengono. In mancanza di liste transnazionali, i vari Candidati-Leader dovranno dare credibilità europea ai partiti nazionali. Il candidato-leader dovrebbe poter essere non solo espressione di partiti europei ma anche di coalizioni di partiti. Il candidato leader di una coalizione diverrebbe così il garante di un contratto di governo europeo per le riforme.
  3. Una Commissione più politica e meno tecnocratica. Che agisca come un Governo che deve trovare il sostegno della maggioranza parlamentare (camera bassa) e del Senato degli Stati (Consiglio), senza abbandonare il suo ruolo di guardiana dei Trattati.
  4. Mettere al centro delle politiche europee e della loro applicazione la sussidiarietà ed il Valore aggiunto europeo, rivisitando l’insieme delle politiche attuali, che spesso si sono trasformate in una redistribuzione di fondi piuttosto che in una valorizzazione di Beni Pubblici Europei.
  5. Un controllo democratico dell’efficienza e dell’efficacia dell’applicazione delle politiche europee per garantire un valore aggiunto europeo, per la valorizzazione dei Beni pubblici Europei. I meccanismi di controllo parlamentari esistenti sono usati in modo marginale. Il futuro Parlamento Europeo (PE) dovrà mettere a punto procedure e meccanismi decisionali per aumentare il peso del monitoraggio.
  6. L’integrazione differenziata è già una realtà, si è sviluppata in modo disorganico e soprattutto per superare blocchi nella conclusione dei trattati o di altre norme. La cooperazione rafforzata prevista dai trattati dovrebbe svilupparsi per blocchi omogeni. Tutti gli Stati dovrebbero far parte del mercato interno e della politica commerciale e rispettare le quattro libertà fondamentali, i principi del diritto ed il diritto derivato. Intorno a questo corpo centrale ruoterebbero altri satelliti dove i vari Stati potrebbero aderire o meno (i.e. Eurozona, Europa della solidarietà, Sicurezza e Difesa, Ricerca e competitività). Una migliore strutturazione dell’integrazione differenziata permetterebbe agli Stati pronti per una maggiore integrazione di avanzare in questa direzione, lasciando le porte aperte a chi volesse aderire. 
  7. Meno Europa sui problemi piccoli. Il rilancio del progetto europeo dovrebbe passare dalla profonda revisione di tutte le politiche europee, la cui esistenza è stata pensata in periodi storici molto lontani da quelli attuali. Per esempio, una certa concezione dei fondi strutturali come ridistribuzione dei fondi europei dovrebbe essere profondamente rivista, rafforzando il contributo a riforme strutturali o sviluppo di grandi infrastrutture. Discorso analogo per la politica agricola comune, la cui (parziale) ri-nazionalizzazione, in un quadro regolamentare europeo, potrebbe trovare il sostegno dei partiti sovranisti. L’agricoltura europea non dovrebbe perdere il sostegno finanziario ma questo dovrebbe essere finanziato (totalmente o in parte) dagli Stati che avrebbero così la possibilità di adattare la politica agricola alla loro realtà nazionale.
  8. Più Europa nel contesto mondiale ci sono alcuni temi dove l’utilità e l’efficacia di un intervento congiunto europeo piuttosto che nazionale è ampiamente riconosciuta. Politiche come la sicurezza delle Frontiere esterne dell’Unione, gli aiuti ai paesi di origine delle migrazioni e la gestione dei flussi migratori, la difesa europea, le misure ambientali legate al cambiamento climatico, la garanzia del rifornimento energetico. In queste aree si dovrebbero trovare margini per una politica europea, con valore aggiunto europeo facilmente dimostrabile e sicuramente più efficace di politiche nazionali.
  9. Il completamento dell’Unione monetaria è una delle maggiori priorità. Le posizioni degli Stati membri sono ancora distanti ma se si vuole consolidare la costruzione europea è indispensabile iniziare il processo di completamento dei meccanismi dell’Unione monetaria, sulla base del pacchetto presentato dalla Commissione nel Dicembre 2017, incluso una fiscalità europea ed un bilancio per l’eurozona.
  10. Ultima, ma non di minore importanza, l’introduzione di tasse europee, che avrebbero come obiettivo non solo di sostituire almeno una parte dei finanziamenti nazionali ma che completerebbero delle politiche europee (ie in campo ambientale o energetico) come proposto dal gruppo di lavoro interistituzionale presieduto dal prof. Mario Monti.

Momentum

Sarebbe illusorio nascondersi la difficoltà della situazione dell’Europa e l’inutilità di cercare compromessi al ribasso. Solo una riforma profonda può rilanciare il progetto europeo per riconquistare la fiducia dei cittadini. La presenza di forze euro-scettiche ed euro-critiche è ormai una realtà di cui non si può non tener conto e deve costituire uno stimolo per le forze politiche tradizionali per prendere decisioni coraggiose.

Il momento attuale presenta, paradossalmente, degli aspetti positivi.

Il prossimo Parlamento Europeo, con molta probabilità, non potrà più contare su una maggioranza qualificata PPE, PSE, ALDE e per far progredire il progetto europeo e questo blocco dovrà aprirsi alle forze euro-critiche ed aperte alla riforma dell’Ue. Intorno ad un progetto di riforma si potrebbe costituire una nuova maggioranza. L’avvicinarsi delle elezioni dovrebbe spingere i partiti, a vocazione  europea, pur mantenendo le loro posizioni tradizionali, a presentarsi agli elettori con un programma ambizioso di riforme condiviso, una sorta di contratto di governo europeo, con proposte concrete di riforma e magari presentare un candidato comune alla Presidenza della Commissione, che ne faccia la sintesi.

Il fatto che tutte le attuali politiche europee scadano nel 2020, come pure il quadro finanziario pluriannuale, crea una “tabula rasa” da cui si può ripartire con un progetto per il prossimo decennio. La Commissione europea ha presentato le sue proposte, in qualche modo anche innovative, rispetto al passato ma non veramente rivoluzionarie. La palla passa ora al Consiglio Europeo in primis, ma anche al Parlamento Europeo che ha il potere di approvare (o respingere) il Quadro finanziario pluriannuale per il prossimo periodo (7 o 10 anni?) ed approvare in co-decisione tutta la legislazione del prossimo decennio.

La Commissione, ed alcuni governi, stanno facendo il possibile per prendere l’insieme di queste decisioni prima delle elezioni europee, ma i loro sforzi sembrano votati al fallimento. L’attuale PE guadagnerebbe in credibilità se annunciasse, fin da adesso, l’indisponibilità ad approvare il pacchetto finanziario per il periodo 2021-2027 prima delle elezioni dirette. Questo permetterebbe di concentrare la campagna su temi europei e sarebbe più rispettoso del voto dei cittadini. In caso contrario, il Parlamento Europeo, si condannerebbe all’irrilevanza politica per il prossimo decennio, essendo tutte le decisioni più importanti prese dal Parlamento in fine mandato. Il PE ha dimostrato in passato di poter condizionare il processo di riforme. Basti pensare al Rapporto Spinelli del 1984, che non solo costituì lo stimolo per l’Atto Unico, ma ha ispirato anche riforme successive. Una maggioranza riformista nel nuovo PE, potrebbe condizionare l’azione dei Governi.

La prossimità delle prossime elezioni europee e la fine del quadro finanziario pluriannuale nel 2020 così come della maggior parte delle politiche europee aprono uno spiraglio di speranza per rilanciare il progetto europeo.

Per concludere, non si può demonizzare l’euroscetticismo di certe forze cosiddette sovraniste e populiste, rinchiudendosi nell’assoluta difesa di quanto raggiunto fino ad oggi. Le forze europeiste dovrebbero avere la capacità ed il coraggio di presentare una visione di medio termine che faccia sentire di nuovo all’opinione pubblica i vantaggi di partecipare al rilancio del progetto europeo e dissipare la nebbia che sta avvolgendo.