Africa, continente inespugnabile ma ricco di opportunità

Mario Giro
Già viceministro al Ministero degli Affari Esteri della Cooperazione internazionale

Una volta Erri De Luca disse che “Napoli può essere conquistata da chiunque ma resta inespugnabile”: identità troppo forte. Così è tutta l’Africa: inespugnabile. Gli africani lo percepiscono. Ultimo tra i continenti (quello del bottom billion di Paul Collier), l’Africa è stata oltraggiata e schiacciata in ogni modo, dalla Tratta a oggi. Ma rimane sé stessa, inespugnabile. Non ci sarà occidentale, cinese o russo che - per quanti affari possa fare - riuscirà mai a farla sua. È vicina e resta lontana allo stesso tempo. Le “anime del popolo nero”, per dirla alla W.E.B. Du Bois, sono plurime e sfuggenti, forse perché poco codificate o trascritte. Di business se ne farà tanto negli anni a venire: innanzitutto in agribusiness. L’Africa è l’unico continente dove rimane terra coltivabile libera: 200 milioni di ettari (fatte salve le foreste che non andrebbero toccate). Per nutrire il pianeta ci sarà assoluto bisogno di mettere quelle terre in produzione: un “oro verde” ormai raro. Ma per farlo ci vuole del metodo, non il ‘land grabbing’ selvaggio e in ordine sparso che viene messo in atto dalle multinazionali del cibo. La ragione non è ideologica: il fatto è che le multinazionali non coinvolgono (se non marginalmente) gli africani locali nei loro affari. Puntano su monoculture da esportazione, il solito errore di prospettiva che crea dipendenza e nessuno sviluppo duraturo. Sarebbe un miracolo se il settore agribusiness italiano si organizzasse (si tratta di migliaia di PMI) per fare un’offerta a questa Africa verde. Sono molto più accettate dagli africani le nostre piccole e medie imprese che non i colossi anonimi come Nestlé, Danone ecc. Si tratterebbe di insegnare a produrre e a creare la catena del valore alimentare e noi possiamo farlo. Aiuterebbe le nostre piccole imprese del settore a crescere e aiuterebbe gli africani a “produrre a casa loro” e ad imparare le regole fitosanitarie per esportare.

L’altro settore è l’energia rinnovabile: qui l’ENEL sta facendo bene ma ci vuole di più. Serve un modello di elettrificazione adattato al continente: l’Africa –a parte le grandi città- è sottopopolata, salvo la Nigeria. Non c’è da sorprendersi: il continente è vastissimo e sostanzialmente vuoto (ancora non è tornato a costituire il 25% della popolazione mondiale com’era prima della Tratta). Quindi servono rinnovabili, mini-grid e micro-grid più che enormi tralicci per migliaia di km, col rischio dei guasti e la certezza della dispersione (30%).

Infine logistica e infrastrutture da trasporto: Salini costruisce dighe ovunque; i cinesi si occupano di ferrovie; Bolloré di porti. Fin qui tutto bene. Ma occorrono anche strade e logistica intermodale, settore dove la situazione è anarchica. Un imprenditore lungimirante si precipiterebbe a comprare capannoni e spazi attorno ai grandi porti o alle città interessate dall’espansione di Pechino (Mombasa, per es.) riempiendoli di camion e macchinari. Certamente entro pochi mesi ci sarà già bisogno di movimentazione merci, stoccaggio, catena del freddo, trasporto locale e internazionale, carico e scarico navi, ecc. Un affare potenzialmente enorme. Con un po’ di spirito di partnership e un po’ di rispetto, gli africani ci aprirebbero tutte le porte.

 

Paesi e settori chiave per l’Italia

Ci sarebbe da concentrarsi su alcuni paesi alla nostra portata, come Costa d’Avorio o Kenya, rispettivamente plaques tournantes dell’Africa occidentale e di quella orientale. Si tratta di paesi di straordinario interesse economico, e non solo, per le imprese italiane, considerata la loro dimensione media. Al contrario, in genere si pensa - a parte gli Stati oil and gas - al Sudafrica o (i più audaci) alla Nigeria, che rimane il più difficile: tutte economie complesse e già molto legate al sistema delle multinazionali e delle grandi imprese anglosassoni, francesi o asiatiche.

Occorre cominciare da paesi al nostro livello. Tre sono gli ambiti che offrono maggiori opportunità, come detto: energie rinnovabili, infrastrutture e agroalimentare. La Costa d’Avorio è il paese più prospero della regione e quello con il maggior potenziale di espansione economica, assieme al Ghana. Quest’ultimo è un buon paese per fare business, con tassi di corruzione bassissimi ma molto indebitato, mentre in Costa d’Avorio c’è più spazio. In generale dovremmo essere presenti laddove le cose accadono. Cremonini ha già 13 piattaforme per la produzione di carne sul continente: in una logica di sistema ciò andrebbe saldato ad altre sotto-filiere come quella del latte, delle verdure e legumi, dei succhi di frutta... Molto importante la questione pomodoro: negli anni Sessanta alcuni paesi avevano fabbriche per la sua produzione ma con il tempo sono andate fuori mercato. È un sotto-settore a cui rimettere mano: oggi la domanda di questo prodotto in Africa è in forte crescita, ma la sua provenienza è essenzialmente cinese. Si può immaginare la nascita di un settore in joint venture italo-africana.

Nel 2016 l’Italia è stata la terza fonte di investimenti nel continente, dopo Cina ed Emirati Arabi Uniti: un fatto storico. Il passaggio dalla ventunesima posizione del 2014 a quella attuale testimonia gli sforzi che hanno portato molte nostre società ad acquisire quote rilevanti del mercato africano e a vincere appalti. Senza contare la presenza di Eni, leader continentale già prima della scoperta di giacimenti come quelli di Zohr in Egitto e Agulha in Mozambico (2014). Molte più imprese potrebbero cimentarsi con il continente, malgrado tutte le difficoltà del caso. Penso all’accordo recentissimo del gruppo Angel di Vito Pertosa (Mermec, Sitael e Blackshape) nel settore ferroviario in Kenya con Kenya Railways e, si spera, in quello aerospaziale assieme a ASI e Leonardo (piattaforma di Malindi).

Bisogna sapere che numerosi paesi africani sono cresciuti e, al di là della loro dimensione, vogliono dotarsi di strumenti di prestigio e sovranità: aviazione leggera, ferrovie e satelliti miniaturizzati per telecomunicazioni, ambiente e altro. Qui noi abbiamo delle opportunità. Inoltre c’è spazio per le piccole e medie aziende che producono macchine agricolo-forestali, centraline solari portatili, mezzi di trasporto pubblici, farmaci ecc. Non sarebbe impossibile localizzare in Africa imprese per il cuoio e quindi le scarpe. Occorre rivedere l’approccio alla Nigeria: il livello intergovernativo (G2G) utile in ambito energetico, va integrato con quello privato (B2B). La Nigeria è il paese con il tasso più elevato di imprenditori africani e di miliardari (meglio di Pretoria). Il settore privato nigeriano deve esser coinvolto bilateralmente, con incontri tra imprenditori. Ad Abuja va forte il settore del lusso: case di lusso (costruzione e forniture), alta moda, gioielli, auto ecc. Inoltre gli imprenditori nigeriani sono pronti a molte joint ventures.

Poi c’è la logistica. Grazie agli investimenti cinesi, l’Africa orientale sarà l’hub dell’Asia, crocevia di nuove reti ferroviarie lungo due direttrici. Una collegherà l’Africa orientale a quella del Nord; l’altra – a cui già si lavora – connetterà le due sponde oceaniche del continente. Un tessuto connettivo al quale sommare ad occidente la cosiddetta “boucle Bolloré” che inizia proprio dalla Costa d’Avorio: un anello ferroviario che dalla tratta già esistente fra Abidjan e Ouagadougou scenderà in direzione Nigeria, Benin e Togo, connettendo il Sahel alle economie dei paesi rivieraschi.

 

Molte Afriche per molti italiani

Diciamo Africa ma le Afriche sono numerose e non si somigliano. Sia in termini politici che economici i paesi vanno presi singolarmente o per area. Ciò che occorre agli africani è un vero partner che si fidelizzi e crei joint-ventures stabili. L’inizio è sempre complesso e talvolta difficile, ma se si riesce a superare questa prima fase i risultati arrivano. Ciò che i leader africani più responsabili cercano e raramente trovano, è l’imprenditore (o l’ONG) che trasmetta know-how e formi i lavoratori e i giovani. Per riuscire ad aiutare davvero l’Africa “a casa sua” bisogna metterla in condizione di produrre: prima per il mercato locale, poi regionale e infine mondiale. Così come l’Asia è entrata nella globalizzazione mediante la manifattura, l’Africa potrebbe entrarci mediante l’agribusiness. Ma per giungere a tale risultato all’Italia mancano due fattori: fare sistema e la finanza. Come è ben noto, gli italiani fanno difficilmente sistema, ma il continente subsahariano ha necessità proprio di filiere integrate. Un passo in questa direzione è l’iniziativa model farm elaborata dal MISE per la produzione di latte e carne, che vede coinvolte 11 imprese italiane. Si tratta di un modello da replicare.

Mancano anche le banche italiane: è una carenza che abbiamo quasi ovunque (anche in America latina). Per gli investimenti le nostre imprese si devono rivolgere a banche straniere con tutte le conseguenze del caso. Sarebbe ora di pensare a strumenti finanziari dedicati, anche se va detto che SACE e SIMEST in questi ultimi anni si sono davvero rinnovate. Ma tutto ciò non basta: infatti, la magnitudine dell’impatto non raggiunge – se non molto parzialmente - la grande massa delle PMI italiane che invece potrebbe imprimere una svolta decisiva a questa sfida. Lo sanno bene ad Assafrica, l’associazione di Confindustria dedicata al continente africano presieduta da Giovanni Ottati che si cimenta quotidianamente con l’Africa essendo AD di VueTel, azienda che sviluppa servizi di telecomunicazioni di alta qualità in molti paesi subsahariani e nordafricani. Le missioni imprenditoriali di Assafrica sono numerose ogni anno. Tuttavia occorre un rafforzamento dell’associazione e degli strumenti a sua disposizione per aumentarne la forza d’urto: la nascita di operazioni di partenariato imprenditoriale necessita di tempo e di mezzi adeguati.

Altri soggetti stanno tentando di creare poli di attrazione per favorire gli investimenti produttivi e le joint-ventures in Africa, come ItaRe di Raul Ascari, l’Italian Africa Business Week (IABW) di Adrien Dioma, un professionista burkinabé da anni nel nostro paese o la rivista specializzata “Africa e Affari” del giornalista Massimo Zaurrini, che informa su tutte le opportunità di investimento e tiene un’agenda aggiornata delle iniziative e degli appuntamenti. ItaRe è una società che offre servizi di sviluppo commerciale, consulenza finanziaria e assistenza tecnica per l’esecuzione dei progetti, operando con i propri clienti sia a livello individuale sia attraverso la creazione di filiere produttive. Il focus è rivolto principalmente all’Africa subsahariana e a tre settori chiave quali infrastrutture, agribusiness e smart solutions. L’iniziativa di Dioma nasce invece dopo la prima “Conferenza Ministeriale Italia-Africa” organizzata a Roma il 18 maggio 2016 dal Ministero degli Affari Esteri. In quell’occasione fu evidente la necessità di creare luoghi di collegamento stabile tra i due mondi imprenditoriali. Per dare continuità a tale nuovo processo, il forum economico e commerciale IABW riunisce imprenditori delle due sponde, facilitando la conoscenza tra il mondo economico, commerciale e finanziario africano e quello italiano. L’ultimo appuntamento è stato a Roma il 17 e 18 ottobre 2018.

La formazione di imprenditori africani, allo scopo di far nascere una nuova generazione di imprese atte ad affrontare il mercato globale, è la finalità di altre iniziative. L’idea di mettere in piedi sistemi di “incubazione” per imprenditori e imprese è venuta, ad esempio, a Letizia Moratti, che già possiede una sua personale esperienza del continente. Il risultato è E4Impact (fondato da Università Cattolica di Milano, Securfin, Mapei, Salini Impregilo, Always Africa): un programma di corsi di alta formazione imprenditoriale che si svolgono in Africa, attivo in 7 paesi africani e che finora ha selezionato quasi 1000 giovani imprenditori.

MigraVenture, macro-programma portato avanti da Fondazione Etimos assieme all’OIM e finanziato dalla cooperazione italiana, è invece rivolto ai migranti che vogliano tornare nei paesi di origine con l’idea di creare un’impresa. Il programma sostiene tali neo-imprenditori migranti, selezionando le migliori idee d'impresa che beneficiano di un percorso di accompagnamento per facilitare l'accesso a strumenti finanziari (micro-equity) e al mercato. Ad oggi sono nate così centinaia di imprese in vari paesi africani. Di simile impatto è il programma Plasepri, frutto di un accordo bilaterale di cooperazione tra Italia e Senegal. L’acronimo significa (in francese) “piattaforma di appoggio al settore privato e alla valorizzazione della diaspora senegalese in Italia” e prevede un finanziamento del governo italiano al governo senegalese pari a oltre 25 milioni di euro. L’obiettivo principale è fare della diaspora senegalese in Italia una leva per un’azione di sviluppo del Senegal tramite la creazione d’imprese. A dieci anni dal suo lancio, il programma ha dato vita a oltre cento nuove imprese e microimprese e ha suscitato iniziative simili in altri paesi africani.

Come si vede, si tratta di modelli diversi fra loro ma tutti volti al sostegno dell’iniziativa privata e di promozione di un nuova imprenditoria, sia tra gli africani che tra gli immigrati che decidano di rientrare. Una nuova cooperazione (che la legge 125 del 2014 permette) non può fare a meno di coinvolgere il settore privato nazionale nell’aiuto allo sviluppo per tentare di rendere sostenibili nel tempo le iniziative e autonomi sul mercato i loro protagonisti. Vi sono casi in cui è una ONG a farsi carico di suscitare operazioni economicamente sostenibili nel tempo: CEFA, per esempio, costruisce piccole centrali elettriche in zone rurali, rendendole remunerative attraverso la vendita di energia elettrica. La creatività può dare adito a moltissime iniziative diverse ma tutte concentrate sull’accesso al mercato. Ce ne vorrebbero migliaia, così da offrire la possibilità alle nostre PMI di inserirsi e allo stesso tempo di crescere. “Aiutarli a casa loro” dunque può essere il risultato di una connessione tra settore privato e cooperazione, tra internazionalizzazione delle imprese italiane (in specie piccole e medie) e nascita di una vera imprenditorialità africana.

1 Marzo 2019
di
Roberto Ridolfi - Coordinatore del Forum Africa