Una carta bianca per dare forma a una vera #rEUnaissance

Luca Jahier
Presidente del Comitato economico e sociale europeo (CESE).

Rispondo senza esitazione all'invito di riflessione lanciato da Marco Piantini affinché la voce degli europeisti si faccia sentire, non lieve e fioca come è stato il caso negli ultimi vent'anni ma alta e forte, tuonante come quella di coloro che vorrebbero distruggere l'Unione Europea.

Leggendo il commento dell'amico Piantini 'Sette domande in attesa di risposta' mi è venuto spontaneo pensare: E se l'Unione Europea non esistesse? Saremmo tutti molto più felici, come pretendono i populisti che guadagnano terreno?  Avremmo il pieno impiego e una crescita economica senza singhiozzi come pretendono i disfattisti del mercato unico o i protezionisti alla Trump? I nostri giovani avrebbero il futuro assicurato?  Oppure tutto ciò è solo un miraggio alimentato da una miope demagogia politica?

Certo, come ha risposto Pierre Moscovici, possiamo sottoporci ad un esame di coscienza, e proclamare un mea culpa, soprattutto coloro che da leaders responsabili firmavano accordi a Bruxelles per tornare a casa e con un candido voltafaccia puntavano il dito verso l'Europa, incolpandola di tutti i mali a cui un governo incompetente non riusciva a trovarne la cura adatta.

Sicuramente bisogna incoraggiare una visione critica e plurale dell'europeismo, anche perché nessuno è ingenuo: l'Europa, progetto democratico, talvolta non riesce a decidere sufficientemente in fretta né con sufficiente coraggio. Ma evitiamo di cadere nella critica gratuita e di pochi contenuti. Un rinnovamento del progetto europeo deve portare soluzioni concrete e costruttive.

Continuare a fare gli struzzi e pretendere che le soluzioni alle sfide del 21esimo secolo siano soluzioni nazionali fa comodo solo a coloro che per bieco opportunismo tentano la virata verso gli estremi autoritari - siano essi di sinistra o di destra - facendo risorgere gli incubi di una storia che pensavamo ormai morta e sepolta.

Come dimenticare quello che dissero Jean Monnet e Robert Schuman nella Dichiarazione del 9 maggio 1950, che permise la creazione della CECA (e poi successivamente della CEE, della CE e dell'UE): "Gli Stati non hanno voluto l'Europa, hanno avuto la guerra." Il primo risultato straordinario della costruzione europea è stato la pace, non il mercato unico. La pace.

In un continente i cui paesi erano fin troppo propensi a combattersi, la visione comune tracciata dai padri fondatori e consolidata dai loro successori, hanno garantito una pace fino ad allora insperata. C'è da sperare che pur con il graduale allontanarsi del ricordo degli orrori delle due Guerre mondiali, le attuali e nuove generazioni abbiano sempre ben presente che il primo valore è quello della pace.

Certo si potrebbe fare di più per costruire la pace sociale, eliminando disuguaglianze causate dalla crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008. Si potrebbe fare di più per costruire una pace più solida, riconciliando le memorie tra Est ed Ovest, permettendo veramente - come disse Karol Wojtyla - di renderla capace di respirare con i suoi due polmoni.

Al momento però il rischio è quella di gettar via il bambino con l'acqua sporca. A questo dobbiamo stare attenti. Bisogna avere la piena consapevolezza che stiamo parlando di 60 anni di storia che non può e non deve essere reversibile.

Il paradosso dell'Europa è che da 70 anni a questa parte, pur tra alti e bassi economici (crisi petrolifera degli anni '70 e gravissima e lunga crisi del 2007), ha generato crescita e prosperità.  Perché allora i movimenti "populisti" rastrellano consensi?

La causa principale è senza ombra di dubbio che la crescita economica, sempre più moderata, avviene in maniera disuguale. Talune regioni diventano sempre più ricche, altre diventano sempre più povere; taluni ceti sociali diventano sempre più ricchi, altri arrancano sempre di più. È questo squilibrio crescente e soprattutto la sua percezione che minano la coesione sociale. A questo va posto rimedio in maniera immediata.

Un rimedio che tenga conto anche delle grandi cinque fondamentali trasformazioni: economica, ecologica e energetica, sociale, democratica e partecipativa, e la trasformazione geopolitica nelle relazioni internazionali.

Per porvi rimedio, la soluzione c'è. In realtà, l'Unione Europea dispone di una strategia che, se abbracciata in maniera risoluta dall'Ue stessa e dai suoi Stati membri, le consentirebbe di imboccare un sentiero economico, sociale, ambientale ed istituzionale virtuoso.

L'Agenda 2030 ed i suoi 17 obiettivi, adottati dapprima in sede di Nazioni Unite, nel 2015, e poi a livello dell'UE, è in realtà una strategia che consentirebbe all'Europa di continuare a puntare sulla crescita economica, mantenendo e consolidando la sua competitività, puntando sul triangolo virtuoso educazione–ricerca-innovazione, ma facendolo in un'ottica di difesa dell'ambiente.

Non è solo Greenpeace che lo dice ma fior fior di esperti: oggi, dice Enrico Giovannini nel suo ultimo libro, siamo già entrati nell'era antropocena, cioè un'era nella quale stiamo sfruttando il pianeta al di là delle risorse disponibili.

Abbiamo dei doveri precisi verso le prossime generazioni e dobbiamo puntare ad una crescita sostenibile e soprattutto ad un modello di crescita socialmente inclusiva, capace quindi di riassorbire gli intollerabili divari sociali. Naturalmente, questi tre pilastri di sviluppo (economico, sociale ed ambientale) devono poter contare su una stabilità istituzionale, del modello cioè di governance.

La pertinenza ed efficacia dell'Agenda 2030 e dei suoi 17 obiettivi sono evidenziate dal ranking dei paesi più in linea con questi stessi obiettivi. I paesi che meglio seguono gli obiettivi dell'Agenda 2030 sono quelli che vantano performances economiche ragguardevoli. In altre parole, il PIL non è l'unico indice di benessere e la graduatoria dei paesi più efficaci dal punto di vista dell'Agenda 2030 sta lì a dimostrarlo.

Il dramma attuale è che i "populisti" non hanno neanche bisogno di proporre soluzioni alternative: a loro basta dire che la situazione attuale è disastrosa e poco importa sapere se loro saranno in grado di proporre soluzioni alternative che funzionino; sembra che nessuno gliele chieda, visto che, fino ad ora, non hanno pressoché mai governato, se non essenzialmente a livello locale.

Per sconfiggere questo malessere è necessario avviare e sviluppare una nuova narrazione positiva per l'Europa e rilanciare l'impegno civico per un vero futuro europeo sostenibile.

Il filosofo Emanuele Kant diceva: "Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!"

Questo è vero soprattutto nel mondo odierno caratterizzato da reazioni emotive estreme. Abbiamo bisogno di comprendere, guidati dalla ragione, dall'umanesimo, dalla scienza e dal progresso. Non lasciandoci guidare dai pregiudizi, dalle paure, dalla sfiducia o dall'odio.

Questo atteggiamento razionale non nega le emozioni. Speranza, amore, frustrazione, paura, gioia - sono le emozioni riguardano l'essenza di ciò che significa essere "vivi". Ignorare le emozioni significa ignorare la nostra umanità, ignorare la necessità di comunicare e ... di sognare.

Mi rafforzo sempre più nella convinzione che l'Europa abbia oggi bisogno di un nuovo Rinascimento, una rEUnaissance.  

Il Rinascimento fu una potente e vasta rivoluzione umanistica, che ristabilì la dimensione reale della cultura nel suo rapporto concreto con la scienza, l'arte del governo e l'organizzazione della vita economica e sociale e diede il via alla trasformazione moderna dell'Europa.

"Homo faber ipsius fortunae", L'uomo è l'artefice della propria sorte. Oggi abbiamo bisogno di un processo analogo.

Per i fautori del progetto europeo è venuto il momento di reagire con una comunicazione assertiva, se non addirittura aggressiva.

Mentre le forze anti-europee si organizzano, anche economicamente – vedi il caso di Steve Bannon e il suo Movimento--con l'obiettivo dichiarato di "distruggere l'Europa", coloro che sono a favore dell'Europa esitano, troppo spesso, ad esprimersi: talvolta lo fanno in punta di piedi, talvolta danno per scontato che alla fine la gente non vorrà rischiare di perdere il valore Europa, spesso non ribattono agli argomenti degli anti-europeisti. Emblematico purtroppo è stato il caso del Brexit, nel quale l'Europa preferì astenersi dall'entrare direttamente nel dibattito, per paura di essere accusata di interferire in un dibattito nazionale, con il risultato di lasciare il campo completamente libero a Nigel Farage e soci.

Va quindi studiata – e soprattutto – realizzata una campagna di comunicazione a favore dell'Europa. Vanno messe in evidenza le success-story dell'Europa – il mercato unico, la moneta unica, i fondi strutturali, una politica sociale equilibrata e moderna, una politica ambientale volta a consentire una crescita sostenibile, lo straordinario successo del programma Erasmus, la capacità di creare oltre 9 milioni di posti di lavoro per i giovani a partire dal 2008.

Alla vigilia delle elezioni europee di maggio 2019, non può, in nessun caso, essere lasciato tutto il campo libero agli "anti-europeisti": vanno combattuti a suon di cifre precise e di argomenti puntuali, proprio sul terreno più scivoloso per i "populisti", la cui retorica è si incisiva ma non particolarmente analitica.

Si potrebbe pensare ad una carta bianca, firmata dai protagonisti della vita istituzionale, imprenditoriale, sociale, culturale, sportiva nei 27 Stati membri. Il documento sarebbe una difesa strenua del progetto europeo: "Io sto dalla parte dell'Europa e lo dico".

È arrivato il momento di strillarla, persino in piazza, la necessità di rimanere europei. Europei critici, non ingenui, ma convinti che il destino comune tratteggiato all'indomani della seconda guerra mondiale continua ad essere un progetto per il quale vale la pena battersi, per migliorarlo,  preservarlo e rilanciarlo

Alla strategia della paura, dell’odio, dei muri e degli incubi che ci propinano i neosovranisti che sono semplicemente in cerca di potere in barba al nostro futuro, dobbiamo saper rispondere con una strategia della speranza, una alleanza forte e visibile di tutte le forze vive e produttive delle società civili europee. Perché noi non vogliamo lasciare ai nostri figli il deserto che loro vogliono, ma dire che con l’impegno di ciascuno ed una solidarietà forte tra tutti gli europei le grandi trasformazioni del nostro tempo possono essere guidate. E l’Europa saprà ancora offrire una leadership di progresso per il mondo intero.

Non bastano più i fatti, le tensostruttura, e la bontà delle riuscite ricette – che pure ci sono e sono numerose e vanno sempre spiegate in modo semplice. Dobbiamo tornare a parlare dei valori fondamentali che ci uniscono, di ciò che sta scritto nell’art. 2 dei Trattati, delle sfide per cui vale la pena dar battaglia. C’è bisogno di passione, sogno, militanza, progetto e molta capacità di creare innovazione, partecipazione e nuove leadership, capaci di rinnovare in profondo la fondamentale e mai smentita missione di servizio di tutte le nostre istituzioni.

Non bisogna temere se non la nostra pigrizia. Le forze in campo sono numerose, competenti e capaci di questo slancio. Bisogna unirle, e voler davvero scrivere una nuova pagina di storia per la nostra Europa. #rEUnaissance. Facciamolo e basta.