Articolo di Alberto Corsini

Il nuovo Parlamento europeo: tendenze e sviluppi

Il primo dato da riscontrare come risultato delle elezioni europee tenutesi il mese scorso è quello relativo alla partecipazione dei cittadini. Nel corso della storia dell’integrazione europea e dall’elezione diretta del Parlamento europeo dal 1979, quarant’anni dopo più del 50% della popolazione ha votato per il parlamento europeo. È senz’altro un dato confortante che dimostra come il processo di costruzione di uno spazio politico europeo sia lento ma inesorabilmente in positivo e continuo processo di realizzazione. 

Ovviamente il tasso di partecipazione deve essere valutato paese per paese, sarebbe infatti illusorio pensare che sia solo il frutto della mobilitazione a favore del parlamento europeo e dell’unione europea in generale, ma mi sento di poter affermare che, dopo il risultato sconcertante del referendum britannico per l’uscita del regno unito dall’Unione europea sicuramente una maggiore coscienza dell’appartenenza all’Unione europea ha preso posto nelle considerazioni dei nostri concittadini.

È vero che in alcuni paesi come Spagna e Belgio per esempio le elezioni europee erano abbinate ad elezioni locali, nel primo caso e regionali e federali nel secondo, ma guardando i dati pubblicati dal Parlamento europeo stesso, si riscontra che in 13 paesi la percentuale di voto è superiore al 50%, di questi 5 oltre il 60%. Se si confronta poi il dato di partecipazione rispetto alle scorse elezioni del 2014, dove per la prima volta lo strumento dello spitzenkandidat faceva la sua apparizione anche in campagna elettorale in ben 20 paesi il tasso di partecipazione è aumentato passando dall’allora 42,61% all’attuale 50,63.

Come dicevo prima sono convinto che l’esito del referendum britannico associato anche alla presenza di forze dichiaratamente e fortemente antieuropee ha fortemente contribuito a questo successo di partecipazione.

Una nota di rammarico devo manifestarla per quanto riguarda l’Italia che, in controtendenza (anche in questo caso) rispetto ai dati generali europei ha visto il tasso di partecipazione diminuire rispetto alle scorse elezioni, dove il 57,22% degli italiani si era recata al voto, e in assoluto con una percentuale del 54,50% il tasso di partecipazione al voto europeo più basso della storia delle elezioni europee dal 1979.

Il parlamento prodotto da queste elezioni ha visto la presenza dei populisti confermarsi come forza politica consistente senza tuttavia raggiungere quel risultato da loro auspicato per poter incidere nelle scelte e nella legislazione europea. Con 73 parlamentari eletti in rappresentanza di nove paesi i populisti in realtà restano relegati al ruolo di pura rappresentanza senza possibilità concreta di intervento nel processo legislativo. A nulla sono serviti i tentativi di associare forze come Fidesz di Orban o Brexit Party di Farage che hanno preferito restare nel ben più influente PPE il primo e (al momento) senza raggruppamento il secondo per far divenire il nuovo gruppo Identità e Democrazia il terzo gruppo del parlamento per ordine di grandezza. La loro presenza inoltre si limita principalmente in Italia, Francia e Germania mentre scarsa o nulla è la loro presenza in 19 altri paesi dell’Unione. Senza sottostimare l’importanza geografica dei paesi in cui essi hanno avuto successo siamo ben lontani, e speriamo di rimanerci ancora, da una rappresentanza consistente e diffusa nell’unione.

Fine egemonia PPE

Politicamente rilevante è invece la fine della maggioranza aritmetica costituita dai gruppo popolari e socialisti. Nonostante la sostanziale tenuta di entrambi questi due gruppi e soprattutto dei socialisti e democratici dati costantemente per perdenti in tutto il periodo di campagna elettorale, una maggioranza PPE SD non ha i numeri per formare maggioranza nella nuova composizione del parlamento europeo. Bisogna ricordare tuttavia che la maggioranza politica uscente, quella che ha sostenuto l’elezione di Antonio Tajani alla presidenza del parlamento europeo, era una maggioranza di destra, composta da popolari, liberali e ECR. 

Maggioranze al PE 

Questa nuova composizione del parlamento europeo porta a considerazioni politiche di rilievo che mostrano da un lato la condizione necessaria ma non sufficiente della presenza di entrambi i due gruppi per la formazione della maggioranza e al contempo l’impossibilità del PPE di prescindere, come invece ha fatto nel caso sopra citato, dalla famiglia socialista. Per formare la maggioranza necessaria ad eleggere il Presidente della Commissione infatti le due famiglie devono necessariamente allearsi o con i liberali o con i verdi o con entrambi. Mentre la somma puramente aritmetica permetterebbe un accordo a tre, nella famiglia socialista è forte la spinta ad integrare in questo contesto la rappresentanza parlamentare dei verdi che, come vedremo più avanti, sebbene non coesa, risulta politicamente più consona alla definizione di un programma in sintonia con le priorità socialiste. Diverso invece il discorso per quanto riguarda i liberali. La loro presenza al Consiglio, e in particolare la presenza in Francia, fa la loro presenza, come terza forza di coalizione, condizione indispensabile prima di tutto politicamente anzi che numericamente. 

Alde RE

Il nuovo raggruppamento liberale è il risultato della convergenza del pre esistente ALDE (di per se già un’alleanza che comprendeva i liberali classici con forze più progressiste come D66) con il movimento di Macron cha ha riscontrato come da previsioni un successo elettorale. Forti della loro cospicua rappresentanza, dell’importanza direttamente legata al presidente Macron, e dalla novità politica rappresentata nel parlamento europeo, hanno dapprima portato al cambio del nome del gruppo in Renew Europe, alquanto semplice diretto e ambizioso, poi sono riusciti ad ottenerne la presidenza candidando l’ex commissario rumeno Dacian Ciolos. I legami tra quest’ultimo e il presidente francese sono ben noti ai più.

 Verdi e rappresentanza nazionale

Una menzione particolare va al successo dei verdi. Tanto in Francia come in Germania e nel più piccolo Belgio, hanno saputo raccogliere ampi margini di consenso sia sull’onda del movimento a favore della lotta al cambiamento climatico sia ricevendo un consenso considerevole nelle fasce più giovani della popolazione diventando il quarto gruppo parlamentare con 75 deputati. Bisogna comunque sottolineare alcuni aspetti precipui per valutarne il vero peso. Il primo da tenere in considerazione è la loro assenza in seno al consiglio. Al momento infatti in nessun paese c’è un primo ministro appartenente a questa forza politica il che li esclude dalle trattative in seno al Consiglio Europeo. Il secondo aspetto è la loro concentrazione geografica e quindi di riflesso la loro assenza in ben 12 paesi europei. Infine la loro composizione tutt’altro che coesa in seno al parlamento europeo, si va infatti dai filo governativi verdi tedeschi ai ben più radicali verdi francesi, non sarà facile per loro trovare punti di sintesi su molti dossier.

Ruolo famiglie politiche

In questo quadro è emersa con chiarezza la maggior rilevanza delle famiglie politiche europee. A prescindere dal risultato che otterranno, il ruolo dei negoziatori delle tre grandi famiglie politiche, popolari socialisti e liberali, si è andato via via definendo nella fase costituente apertasi subito dopo le elezioni europee fornendo un quadro politico del tutto nuovo rispetto alle tradizionali trattative tra primi ministri in seno al Consiglio.

Sviluppi e cooperazione politica

Quale sarà il risultato non è ancora chiaro al momento ma che una cooperazione tra popolari socialisti liberali e almeno in seno al parlamento europeo anche verdi sia la sola via percorribile per definire l’assetto istituzionale dell’Unione e delineare le priorità politiche per un suo necessario rinnovamento è sotto gli occhi di tutti. Un loro fallimento sarebbe assenza di visione abdicare dalle responsabilità loro conferite dagli elettori e dare su un piatto d’argento argomenti a sostegno delle forze populiste intente a ridimensionare quando non annientare il ruolo dell’Unione europea.

Conclusioni

Infine è da sottolineare la parabola dell’istituto dello Spitzenkandidat (quei candidati che i partiti europei indicano agli elettori come loro prima scelta, nel caso escano vincitori dalle elezioni europee, come presidente della Commissione europea). È probabile che dopo lo straordinario successo riscontrato nel 2014 che ha portato Jean Claude Juncker alla presidenza della Commissione europea, in questa fase non sembra delinearsi la riconferma della procedura dello Spitzenkandidat per il nuovo presidente della commissione.  Non è da credere tuttavia che questo significhi la fine dell’esperienza, bisogna farne tesoro e riconoscere che probabilmente per la costruzione, sebbene lenta ma inesorabile di uno spazio politico europeo assieme alla figura dello Spitzenkandidat è necessario associarlo alle liste transnazionali che permetterebbero l’avvio di una vera campagna europea.